Cappuccino “corretto”

Cappuccino “corretto”

by donO
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Lo confesso, ho un problema con il cappuccino al bar! Mentre so di tanti (quasi tutti praticamente) che gustano l’abbondante schiuma che il barista versa fino all’orlo della tazza, io sono uno a cui la schiuma non piace molto.

I baristi che circondano la mia parrocchia lo sanno e … mi accontentano.

Succede qualche volta che Vito o Gino non ricordino i miei gusti e che si sbaglino. Succede anche che qualche volta Vito o Gino non ricordino i miei gusti e io me ne accorga in tempo mentre preparano il cappuccino e pronunci soltanto il loro nome perché loro dicano “appena in tempo don Orò”.

Ti starai chiedendo “ma non vorrai mica fare un post tutto sul cappuccino!?!”. No. Infatti vorrei soffermarmi brevemente sull’aggettivo “corretto”.

Agli esseri umani capita di sbagliare. Accade anche nelle comunità cristiane.

Se tempo fa si parlava di correzione fraterna, oggi non ci si corregge più perché altrimenti non c’è gusto a riprendere l’altro dopo che ha sbagliato. Sì, oggi accade questo: mi accorgo che l’altro sbaglia e, invece di dire il suo nome, attendo che tutto sia compiuto per farmi bello, per vendicarmi, per … perdere l’altro, ma soprattutto la mia identità di fratello.

Come scriveva profeticamente Jean Vanier, «La vita comunitaria è la rivelazione penosa dei limiti, delle debolezze, delle tenebre di ogni essere; è la rivelazione, spesso inattesa, dei mostri nascosti. È difficile accettare questa rivelazione. Si cerca di allontanare rapidamente questi mostri, o di nasconderli di nuovo, di illudersi che non esistano; oppure si fuggono dalla vita comunitaria e dalle relazioni con gli altri; o ancora si pretende che quei mostri siano i loro e non i nostri. I colpevoli sono gli altri, non noi. […]

La comunità è il luogo nel quale si rivela la potenza del mio io egoista, dove è chiamato a morire perché le persone diventino un solo corpo e diventino fonte di vita. Gesù dice: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv12,24)» (La comunità. Luogo del perdono e della festa, Jaca Book, Milano 1991, 45-46).

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